In ricordo di 335 persone
uccise dai Nazisti, all’interno delle Cave ardeatine, fatte crollare appositamente con un’esplosione
per coprire quest’eccidio all’umanità, il Comune di Roma bandì nel giugno ’44 un
concorso di architettura, il primo del
dopoguerra. L’oggetto era per l’appunto la risistemazione dell’area delle cave
ardeatine.Dal concorso suddiviso in due
fasi, ne uscirono vincitori ex aequo due gruppi di giovani architetti: da una
parte Fiorentino, Aprile, Calcaprina, Cardelli e lo scultore Coccia e dall’altra Perugini e Balsadella.Il percorso progettuale narra
i luoghi prima dell’eccidio rimasto quasi intatto e poi della sepoltura. La
monolitica pietra tombale, priva di retorica commemorativa è muta e
contemporaneamente espressiva. Il monolite rigoroso si erge, staccato 1 metro
da terra su un lieve pendio in
contrapposizione armonica con la natura frastagliata delle cave.All’interno, 335 sarcofagi
sono compressi dall’enorme peso dell’immensa lapide, la quale è sollevata di 1
metro dalla quota esterna e si appoggia su sei elementi puntiformi. Si
definisce così un’asola continua di luce, inframmezzata dai sei sostegni, che amplifica
la materia della scatola e concorre a rendere ancora più astratto e senza vita
il luogo. Un luogo interno atono che affida alla materia la parola.
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